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La Favola del figlio nascosto di
Gian Francesco Malipiero
... Gian Francesco Malipiero è stato un vero Maestro. Maestro affettuoso come mi si dimostrò, allorché negli anni di bestiale dominazione fascista, dal '43 al '45, mi accolse come allievo. E le sue lezioni e colloqui mi aprivano allo studio e alla conoscenza di quella musica, cui allora in Italia era decretato l'ostracismo: Schönberg Webern e insieme Dallapiccola. E naturalmente Monteverdi e il rinascimento musicale.
Luigi Nono [1]
Figlio mio snaturatissimo.
Gian Francesco Malipiero a Bruno Maderna [2]

Fabrizio Malipiero, 1939.
© Archivio privato dell'avente diritto di
G.F. Malipiero.
Tra i professionisti della musica classica come anche tra i melomani più attenti, non v'è nessuno che ignori il nome e le opere principali del compositore veneziano Gian Francesco Malipiero (1882-1973)[3]. Dopo la relativa messa al bando critica dovuta alle sue simpatie fasciste, sembra che il tempo abbia quasi del tutto riabilitato la rispettabilità del Maestro. Ecco spuntare da una decina d’anni sul mercato musicale registrazioni inedite delle sue opere, alcune premiate dai professionisti del disco. Il suo fondo d’archivio, notevole per dimensioni e ricchezza, costituisce il fiore all’occhiello della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, che non manca di congratularsene. Il fatto stesso che mi sia stato suggerito il nome di Malipiero all'Université Sorbonne Nouvelle Paris 3 per un argomento di tesi di dottorato dice abbastanza come l’artista sia ridiventato frequentabile agli occhi delle istituzioni culturali. Quel che ognuno ignora ancora, di contro, è il fatto che il compositore era anche padre di un figlio. Egli si è impegnato tutta la vita a tacerne l'esistenza al pubblico, lasciando credere che fosse nato morto ed esercitando nel contempo un rigido controllo sulla parola di quel figlio e di chi lo conosceva. Vivo il Maestro, l’immagine e il nome dell'erede si son trovati per così dire seppelliti da lui. Morto il Maestro, la mai udita voce del figlio nascosto è invece in grado di risuonare pubblicamente: il musicista ha degnato infatti renderla nota, anche se al solo pubblico dei posteri, facendone sopravvivere alcune tracce. Consistono in un gruppo di lettere scritte dal figlio e consegnate dal padre nel di lui archivio veneziano. D'altra parte, aveva forse Malipiero altra scelta più intelligente? Non sapeva forse che quel figlio legittimo, nato dal suo primo matrimonio, sarebbe diventato legalmente -fatalmente, secondo la sua prospettiva- il suo principale avente diritto dopo la sua morte? Non sapeva forse che a quel titolo il nome Fabrizio Malipiero sarebbe apparso a chiare lettere sui cataloghi musicali dedicati alla sua opera e che l'identità ne sarebbe stata rivelata di riflesso?
Fatto singolare: il compositore è il promotore della creazione del fondo a lui intitolato. Ne ha seguito da vicino l’organizzazione e lo sviluppo fino alla morte, avvenuta nel 1973. Consegnando alcune lettere di un figlio di cui ha sempre tenuta nascosta l’esistenza e in cui il loro grado di parentela si trova esplicitato in modo inequivocabile, egli intendeva anticipare una deflagrazione. A distanza di quarantasette anni, tale deflagrazione non si è ancora verificata, perlomeno ufficialmente. Per la storia dell’arte Gian Francesco Malipiero, tre volte sposato, risulta tutt'ora privo di discendenza. L'unica sua prole conosciuta consiste nel cospicuo novero delle sue opere, verso le quali era solito affermare nutrire un affetto tutto paterno. La musicologia non ha avuto sentore del supplemento d'informazione biografica che il compositore ha trasmesso alla Fondazione Giorgio Cini. Quest’ultima ha numerato e catalogato le lettere del figlio nascosto senza averne mai letto il contenuto. Ho fatto la scoperta della sua esistenza non già partendo dall'archivio, bensì iniziando a sottoporre al vaglio della lettura e dell’analisi letteraria gli scritti editi del musicista. Visto il disordine e la mole del corpus, il lavoro si è rivelato lungo. È stato intrapreso in Francia nell’ambito della preparazione di una tesi di dottorato in Lingua e Letterature Straniere intitolata Gian Francesco Malipiero, écrivain et dramaturge. L'argomento si riallaccia alla tematica più vasta dell’artista-scrittore, a cavallo tra storia dell’arte e teoria della letteratura. Ho rilevato in un primo tempo la presenza di una mistificazione d’autore per antidatazione in seno ai profili biografici del musicista e della sua prosa memorialistica. Soltanto dopo ho scoperto il nome di Fabrizio Malipiero, al di fuori dell'archivio ma anche dei testi, stavolta. Ho percorso il cammino inverso rispetto a quello più agevole che avrebbe dovuto delinearsi in modo naturale subito dopo la morte del compositore. Si sarebbe dovuti partire dall'archivio con le lettere del figlio nascosto, per dirigere poi i passi verso l'opera e la mistificazione in essa contenuta. Al contrario, per me è stata la demistificazione dell’opera a condurmi alla duplice scoperta dell’esistenza di un figlio nascosto e della presenza di alcune sue tracce negli Archivi della Fondazione Cini. Rimando il lettore al testo della pagina di accoglienza del sito, in cui vengono spiegati i motivi per cui la conclusione e la discussione della mia tesi sono stati impediti. Questo articolo permette di rendere noto quello che sarebbe dovuto esserlo da tempo.
Il mio intento si fonda su di un procedimento di tipo riflessivo, condotto ossia col senno di poi, dopo il contraccolpo della scoperta. L'obiettivo è quello di trasmettere un'esperienza personale di lettura e di ricerca mediante quel che si potrebbe definire un racconto-inchiesta. Esso non si rivolge in modo specifico ad un pubblico specialista di musicologia e/o di letteratura. Per tal motivo, non compariranno tutte le sfumature dell’analisi dettagliata. Si tratta innanzitutto di presentare le tappe che hanno permesso all'indagine di procedere e di raggiungere risultati. Verranno comunque esplicitate le piste principali, documenti -o prove- a supporto. È importante specificare che tutti i testi qui citati tra virgolette sono tratti da scritti editi di Gian Francesco Malipiero o dei suoi esegeti. Le lettere manoscritte inedite di Fabrizio Malipiero sono conservate al «Fondo Gian Francesco Malipiero» (Fondazione Giorgio Cini, San Giorgio, Venezia), non repertoriate nel catalogo elettronico disponibile in rete. Non ho ottenuto il permesso di renderle pubbliche, come d’altronde è avvenuto con tutti gli altri documenti trascritti nel corso delle mie diverse visite alla fondazione. Quelle che ho potuto leggere sul posto sono poco numerose, sei in tutto. Non sarei in grado di affermare se tal numero corrisponda a tutte quelle consegnate dal compositore o soltanto a quelle che mi hanno permesso di vedere. Vale a dire che la mia prospettiva è forse parziale su questo punto in particolare. Va specificato anche questo, in quanto gli esiti di un'indagine dipendono dalla singolare angolazione in base alla quale la si affronta. Questo articolo è illustrato da diverse fotografie inedite provenienti dall'Archivio privato dell’avente diritto del compositore. Le pubblico con il suo consenso. Sul sito è disponibile una versione aggiornata dell’albero genealogico di Gian Francesco Malipiero nella rubrica Appendice.
Stando ai contributi dei profili biografici dedicati al compositore veneziano, anche quelli più recenti, dopo undici anni di vita coniugale tumultuosa e triste, non esente da tradimenti traumatici, Maria, sua prima moglie, muore mettendo al mondo un bambino. Se il lettore è messo in condizione di pensare che l'unico figlio e la moglie siano morti contemporaneamente il 28 maggio 1921 -una data che in realtà non ha registrato alcun decesso né alcuna nascita nella sua esistenza- lo si deve al fatto che questa notizia non ha mai cessato di essere implicitamente suggerita da un articolo, da un dizionario biografico e da un'opera critica all’altra. Questa informazione, pertanto, non è mai stata specificata né da Malipiero né dai suoi primi biografi. È stata soltanto suggerita mediante espedienti retorici che lasciano supporre il decesso del bambino omettendo di esplicitarlo; un vuoto, questo, che il lettore sente spontaneamente il bisogno di colmare. Lo fa sulla base degli elementi che l’autore dispiega comodamente sotto i suoi occhi, senza curarsi di cercarli al di fuori del testo. Se la sorte del bambino non è specificata, quella di Maria Malipiero lo è apertamente e il loro accostamento nel testo è sufficiente a suggerire un medesimo funesto destino per la madre e per il figlio, del quale né il nome né il sesso sono mai stati oggetto di alcuna menzione, quasi la morte l’avesse rapito troppo in fretta perché si dovessero fornire precisazioni morbose. Apparentemente, niente nei racconti biografici, ma neppure nell’opera musicale, lascia supporre l’esistenza di un figlio nascosto. Tuttavia, la lettura parallela ed unitaria dei due corpus malipieriani -quello musicale e quello verbale- suggerisce qualcos'altro al lettore, la cui logica mentale viene a più riprese colpita da rotture di senso. Un primo elemento attira l’attenzione. È la cacofonia risultante dallo scarto che si palesa tra la data del decesso quale viene indicata nei discorsi privati dell'artista e quella menzionata nel racconto ufficiale dei suoi biografi: il 28 maggio 1921 se si leggono quest'ultimi, il mese di giugno stando a quanto afferma due volte Malipiero nella sua corrispondenza privata, senza tuttavia precisare il giorno. Questa contraddizione mi è apparsa in modo netto per la prima volta in questo passo biografico firmato dal suo principale esegeta, John Waterhouse. Il musicologo vi riporta una data subito contraddetta dalla citazione che lui stesso fa di una lettera privata di Malipiero.
[…] the death post-partum of his first wife Maria on 28 May 1921 naturally aroused deep and conflicting emotions in him: almost a year later (on 8 May 1922) he expressed these feelings in a letter to Casella, in wich he confided: «I have been through terrible years of anguish and nobody will ever know what I have suffered. And the greatest suffering was that experienced last June [sic]when I once again saw death mercilessly take from me a person who was close to me and for whom I had great affection, despite the fact that our life together was not happy[4].
Waterhouse non manca di essere sorpreso dall'apparente incongruenza dell'allusione al mese di giugno. La sottolinea come tale con la particella sic posta tra parentesi quadre, che gli permette di dissociarsi da ciò che reputa essere una disattenzione del redattore. Da parte mia, invece, l'impulso immediato è stato quello di prendere le distanze dal musicologo, tanto più che la lettera non è indirizzata al compositore Alfredo Casella, come lascia intendere, ma alla moglie di quest’ultimo, Hélène Casella. La destinataria di quelle righe era una delle pochissime confidenti di Malipiero, il che lascia supporre un certo grado di sincerità nella relazione. È noto che il «Fondo Alfredo Casella» (anch’esso conservato alla Fondazione Cini) non contiene alcuna lettera di Malipiero datata prima del settembre 1921. Per tutte le informazioni che riguardavano la sua vita familiare, il veneziano esercitava quanto più possibile il controllo anche sugli archivi dei suoi amici. Quando si sa che questa lettera indirizzata ad Hélène Casella è una sopravvissuta alla distruzione programmata, se ne considera il contenuto con più profondo interesse. D’altra parte, stando alla prosa memorialistica del compositore, ci si accorge che l’evocazione del triste episodio viene sistematicamente associata a quella dei moventi della creazione di un’opera, il «mistero» San Francesco d’Assisi (1921). Quest’opera è stata portata a termine nello stesso periodo in cui è avvenuta la morte di Maria[5]. Non sarebbe sorprendente vedere sovrapporsi questi due eventi negli scritti retrospettivi dell’artista, se non aleggiasse su quei brani un pesante profumo criptico. I due episodi si sovrappongono amalgamandosi costantemente attorno ai termini «mistero» e «segreto». In questo brano si assiste ad un altro tipo di amalgama, ancor più sorprendente:
Cosa dovrei dire dei due lupetti fiorentini maschio e femmina che vissero con me negli anni più duri della mia vita? Rifiuto di accettare per veri la maggior parte degli avvenimenti di quell’epoca. [...] Quando a Napoli uno dei due si smarrì (lo ritrovai dopo due giorni), cercai consolazione nel pensare a un mistero: San Francesco d’Assisi. “Feci voto a lui ch’uscendo fuora...” e il voto fu adempiuto. La femmina morì; [...][6].
Si passa senza soluzione di continuità dalla menzione allusiva del decesso di Maria a quella di un episodio senza conseguenza: il fatto che un giorno egli abbia perso, poi subito ritrovato, uno dei suoi due cani. È evidente il divario tra il carattere aneddotico dell'evento e il ricorso al termine «consolazione», come pure al pensiero del santo, i quali stanno ad indicare un grado elevato di sofferenza. Una tale sproporzione morale fa nascere il sospetto che a questi cani venga attribuita una funzione tecnica specifica: quella di fungere da schermo, nel racconto, ai moventi autentici che si trovano alla base della creazione dell’opera. D’altra parte, l'autore stesso tende ad incoraggiare il lettore in questa interpretazione, confessando apertamente la sua tendenza alla negazione del reale («Rifiuto di accettare per veri la maggior parte degli avvenimenti di quell’epoca»)[7]. La brusca apparizione nel testo di una citazione tratta da una fonte non precisata genera ulteriori sospetti. Questa fonte è Girone il Cortese (1549) di Luigi Alamanni[8], un poema epico cavalleresco in cui la benamata dell’eroe muore di parto. Difatti, Malipiero introduce l’idea della morte subito dopo la citazione, precisando “la femmina morì” a proposito dei suoi cani. Troviamo inoltre nella citazione la nozione di voto, promessa, legata a quella di nascita: «Feci voto a lui ch’uscendo fuora...». Chi riteneva dovesse «uscire» in modo programmatico, in quel preciso momento della sua esistenza? Lui stesso? E da dove? Sembra evidente si tratti del figlio, non ancora venuto al mondo ma sulle soglie. Il ricorso all’intertestualità è tipico della mistificazione, ne rappresenta anzi uno dei sintomi più acuti. L’accumulo di tali elementi consolida nel lettore il sospetto dell’antidatazione. Una ricerca più accurata rivela che il San Francesco non è stato portato a termine soltanto nello stesso momento della morte di Maria. L’inizio della sua composizione coincide anche con i primi mesi della gravidanza della donna. Ci si trova di fronte a due gestazioni simultanee: quella del bambino e quella dell’opera, che procedono in parallelo. Sono questi elementi già sufficienti a far sì che un ricercatore avvii delle verifiche sul campo, in questo caso a Roma, dov'è avvenuto il decesso. Tuttavia, prima di inoltrare la richiesta del certificato di morte di Maria Malipiero, un'iniziativa poco comune, ho voluto tentare prima una verifica nella corrispondenza che il compositore intratteneva con i suoi destinatari privilegiati dell’epoca. Ho selezionato il fondo d'archivio del filosofo Angelo Conti, a Firenze, dove ho trovato lo stesso riferimento al mese di giugno in una lettera di Malipiero[9]. Il compositore vi precisa inoltre che la morte della moglie è avvenuta dopo due mesi di malattia, il che ingenera un’ulteriore confusione, riguardo stavolta le circostanze del decesso (Waterhouse evocava un decesso post partum quasi immediato). Ho inoltrato la richiesta presso i Servizi dello Stato Civile di Roma. Il certificato mi è arrivato due mesi dopo: Maria Malipiero è deceduta il 15 giugno 1921.
Come interpretare questo esercizio di antidatazione? Perché la scelta della data del 28 maggio? L’ultimo quadro del mistero è riservato alla morte di Francesco d’Assisi. Il parallelo tra la moglie e l’opera trova la sua ragion d’essere soltanto in questa tematica funebre, in quanto appare che la stesura della partitura finale non coincide, di fatto, con la data storica del decesso di Maria. Il punto finale apposto al mistero teatrale sembra, al contrario, anticipare il decesso annunciandolo nelle intenzioni non rivelate dell’autore. Malipiero ha volto la mente ad una sorta di profezia retrospettiva in virtù della quale la cronologia della Storia si adatta, a marce forzate, alla cronologia del catalogo musicale. La tecnica dell’antidatazione gli permette di strappare alla temporalità del vissuto un evento insopportabile per riqualificarlo artisticamente quanto spiritualmente, visto il carattere religioso del mistero teatrale. Mistero e mistificazione vanno di pari passo, ma in un rapporto di specchi rovesciati. Se la morte del santo rappresenta in quel preciso momento il punto culminante del suo percorso artistico, quella di sua moglie rappresenta il punto più basso della sua esistenza. Si capisce allora che l’opera, pubblica, viene a rimodellare l’orrore di un fatto della vita privata avvertito apertamente come una tragedia, ma anche, su di un versante tutto interiore, anzi segreto, come un'intollerabile vergogna: nel corso della gravidanza della moglie, il compositore era giunto a torto o a ragione alla convinzione di non essere il vero padre del bambino. Evocando questo «particolare» voglio prendere le distanze dalla critica musicale, che su questa questione ha sempre tagliato corto. Waterhouse fa menzione del fatto come fosse veritiero: «She died in 1921, soon after giving birth to a child that was not his[10]». Nessuno è in grado di affermare una cosa simile. Un fatto certo, di contro, è che Malipiero se ne era bruscamente convinto.
La mistificazione è un esercizio letterario di alto livello che comporta numerose costrizioni. È evidente che il compositore non ha saputo padroneggiarne ogni aspetto. Alcune lettere sono sfuggite al suo controllo e le sue criptiche allusioni si manifestano negli scritti editi solo nell’immediato dopoguerra, con il succitato La Pietra del bando (1945). Nel 1966 pubblica un saggio in cui si sospinge fino ad alludere ad una «dura eredità[11]» lasciata quarant'anni prima dalla prima moglie. Sembra che la sua posizione sia mutata nel corso degli anni, passando da una strategia iniziale di asfissia dell’informazione al progressivo criptaggio attraverso la sua prosa memorialistica. Come sottolinea Jean Francois Jeandillou, «diversamente dal semplice inganno e, a maggior ragione, dal frodo, la mistificazione procede di pari passo con la demistificazione. Soltanto quest'apocalisse tardiva permette di analizzarla come un'esperienza rivelatrice [...][12]». Il segreto sarebbe rimasto totale se la realtà fisica di suo figlio non avesse esercitato una pressione sempre più forte su di lui, man mano che il bambino cresceva. Proprio questa pressione sembra averlo spinto ad abbandonare la strategia del rifiuto per orchestrare bene o male l’inevitabile apocalisse.
[1] Luigi Nono, Ricordo di due musicisti (1973), in La Nostalgia del futuro. Scritti scelti 1948-1986, a cura di Angela Ida De Benedictis e Veniero Rizzardi, Milano, Il Saggiatore, 2007, p. 195.
[2] Cf. Malipiero-Maderna 1973-1993, a cura di Paolo Cattelan, Firenze, Olschki, 2000, p. IX.
[3] Malipiero appartiene all'avanguardia musicale del periodo compreso tra le due guerre, raggruppata sotto la denominazione «Generazione dell'Ottanta». L'ambivalenza dei suoi rapporti con il regime fascista traspare, fra altre cose, attraverso le vicissitudini dell'opera nata dalla sua collaborazione con Luigi Pirandello: La Favola del figlio cambiato (1933). L'opera viene censurata subito dopo la prima italiana tenutasi in presenza di Mussolini. Malipiero gli dedica la sua opera seguente (Giulio Cesare, 1935).
[4] John C.G.WATERHOUSE, Gian Francesco Malipiero: the life, times and music of a wayward genius (1882-1973), Amsterdam, Harwood Academic Publishers, 1999, p. 28.
[5] Il 25 maggio 1921 Malipiero mette ufficialmente un punto finale alla partitura del mistero.
[6] Gian Francesco Malipiero, La Pietra del bando, Venezia, Ateneo, 1945; [2nda ed.] a cura di G. Garrera, Montebelluna, Ed. Amadeus, 1990, p. 35.
[7] Aggiungiamo che l'equivalenza «i miei cani=un pretesto narrativo» è stabilita dall'artista stesso in un altro passo del suo corpus verbale: «Vorrei parlare dei musicisti, ma non trovo il pretesto, nemmeno quello dei miei cani […]» (L'Opera di Gian Francesco Malipiero, a cura di Gino Scarpa, Edizioni di Treviso, 1952, p. 300).
[8] Luigi Alamanni, Girone il Cortese, novamente riveduto e corretto con altre agiunte del Autore medesimo, Vinegia, Monteferrato, 1549. La citazione è tratta dalla strofa X: «e feci voto a lui ch'uscendo fuore/spenderei in suo servigio l'ultime ore». Alamanni si rifà ad un romanzo in prosa francese del XIIIesimo sec. (Guiron le Courtois) e alle rielaborazioni a cui il testo ha dato luogo nel corso del Rinascimento italiano.
[9] Cfr. Lettera di G.F. Malipiero ad A. Conti, Padova, 26.8.1921, «Fondo Angelo Conti», Archivio Contemporaneo «Alessandro Bonsanti», Gabinetto G.P. Vieusseux, Firenze.
[10] J. C.G.WATERHOUSE, op. cit., p. 19.
[11] Gian Francesco Malipiero, Ti co mi e mi co ti. Soliloqui di un veneziano, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1966, p. 14: «[…] a fatica riesco a strapparmi col pensiero dal letto di morte di una donna che quarant'anni fa mi lasciò una dura eredità, però mi ritrovo, quasi per incanto, a Parma, intento a copiare la partitura del Mistero San Francesco d'Assisi».`
[12] Jean-François Jeandillou, Esthétique de la mystification. Tactique et stratégie littéraires, Paris, Les Editions de Minuit, 1994, p. 8 («à la différence de la simple tromperie et a fortiori de l'escroquerie, la mystification ne va pas sans démystification. Seule cette apocalypse tardive permet de l'analyser comme une expérience révélatrice […]»).
I. Mistero e mistificazione

Maria Malipiero, Capri, 1920
© Archivio privato dell'avente diritto di G.F. Malipiero

Tarot de Jean Noblet, Parigi,1659 c.
gallica.bnf.fr/Bibliothèque Nationale de France
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A quel punto dell’inchiesta niente veniva ancora a contraddire l’idea, a torto suggerita da sempre, che il bambino fosse nato morto. Avvertivo tuttavia che il palesamento rimaneva incompiuto, in particolare a causa dei due mesi di malattia menzionati nella lettera ad Angelo Conti. In assenza di altri materiali a mia disposizione, mi sono messa in cerca degli attuali aventi diritto del compositore partendo dall’ultima erede nota al pubblico: la sua terza moglie, Giulietta Malipiero (1912-1996). Non sapevo cosa aspettarmi di preciso. Quella volta non è stato necessario inoltrare una richiesta amministrativa, è bastata la consultazione in rete dei cataloghi musicali del compositore. Accanto a quello di Giulietta, scoprii con non poco stupore il nome Fabrizio Malipiero sul catalogo elettronico della Suvini Zerboni. I due comparivano rispettivamente in qualità di vedova e figlio del musicista. Ho comunicato la scoperta al «Fondo Gian Francesco Malipiero» con l'intenzione di avviare approfondite ricerche nella corrispondenza privata. Forse avrebbe aiutato a capire chi fosse la madre di quel figlio legalmente riconosciuto. Se veniva indicato che era figlio di Gian Francesco, niente precisava che fosse anche quello di Giulietta. Scosso dalla notizia, il Responsabile degli Archivi si affrettò ad iniziare lui stesso le ricerche. Trovò varie lettere manoscritte firmate Fabrizio Malipiero. Il loro contenuto indicava che era figlio di Maria. Stese da vari membri della famiglia Malipiero, altre lettere evocavano anch’esse la sua esistenza. Quelle da lui scritte sono state annoverate fra le altre senza che nessuno si chiedesse mai chi si celasse dietro quel nome, Fabrizio, che pure non risulta nell'albero genealogico dell’illustre stirpe veneziana[14]. Terzo fulmine a ciel sereno, pertanto, dopo l’operazione di demistificazione condotta sui testi, seguita poi dalla scoperta fortuita di un figlio nascosto: ora è l’identità stessa del figlio a produrre un effetto bomba. Il bambino che tutti credevano nato morto il 28 maggio 1921 è in realtà sopravvissuto fino al 1993. V'è in questa scoperta non poca serendipità, un concetto che indica il «fatto di scoprire per caso ciò che non si cercava[15]». La serendipità descrive anche le tappe di un vero e proprio processo psichico, quello che si mette in moto in chiunque conduce un’inchiesta, sia essa poliziesca, scientifica o letteraria: sorpresa, interpretazione, verifica[16].
L’ultima parte dell’indagine si è di nuovo spostata sul campo per un’ultima verifica. La Fondazione Cini non aveva mai avuto contatti con l’attuale avente diritto del compositore, di cui ignorava il nome. L'ho cercato partendo dunque dal nome del figlio non più nascosto bensì ormai rivelato. Da quando l’ho rintracciato nel 2015, l’erede testamentario di Fabrizio Malipiero -e pertanto l’avente diritto di Gian Francesco Malipiero- mi ha ricevuta ospite più volte in casa sua, dove si trovava l’ultimo pezzo del puzzle: il suo archivio privato rivela che la nascita di Fabrizio non coincide con la morte della madre. Fabrizio nasce a Roma il 17 aprile 1921, assai prima del decesso di Maria avvenuto il 15 giugno, dopo due mesi di continue febbri puerperali. Il fatto spiega la menzione dei due mesi di malattia nella lettera a Conti. Questa informazione complementare getta nuova luce sui moventi storici dell'antidatazione, la quale non sembra unicamente fondata su una strategia del diniego di tipo idealistico nell’artista. A quanto sembra rientra anche, in questa sua scelta, una certa dose di realismo conformistico. È quanto appare mettendo a confronto l'autentica data di nascita del figlio con le lettere della moglie da lui consegnate nel suo archivio. Malipiero infatti non trasmette che uno sparuto quanto specifico campione di lettere. Sono quelle che Maria gli inviò mentre lui si trovava a Parigi per un periodo di due mesi in vista della prima delle sue Sette canzoni (1920)[17]. Così facendo e senza neanche dover aggiungere ulteriori spiegazioni, fornisce una riprova alle accuse che faceva gravare su di lei, poiché quel periodo è anche quello del presunto concepimento del bambino. Puro prodotto di una creazione originale dell'artista Malipiero -un prodotto messo su per selezione di materiale- questa presunta verosimiglianza degli eventi è tutta rivolta ai posteri. Voglio ricordarlo di nuovo: sin dall'inizio il musicista ha concepito il «Fondo Gian Francesco Malipiero» tenendo saldo in mente il pensiero del pubblico (quello degli esegeti e quello degli amatori) che lo avrebbe visitato dopo la sua morte. Ora, le uniche tracce della prima moglie lasciate sussistere ne fanno una «colpevole», anche se in modo non esplicito, com'è tipico in Malipiero. Di fronte al pubblico dei vivi ricorre invece all'antidatazione per far sì che nessuno possa accostare i due eventi. Lo fa tanto più che la sua prolungata assenza dal tetto coniugale, d'ordine professionale, è registrata nella sua biografia ufficiale[18]. Alcuni documenti conservati dall’avente diritto rivelano dal canto loro che il decesso di Maria Malipiero è avvenuto in un clima di grande sofferenza morale. Malgrado si sia difesa da ogni accusa fino all'ultimo giorno, il compositore si è sempre rifiutato di credere alla tesi di un parto prematuro. Una volta rivelate, tutte queste manipolazioni biografiche non rimangono senza ripercussioni sul piano dell’analisi dell’opera. Capiamo che nel racconto ufficiale della sua vita, Malipiero ha trasformato il lasso di tempo che separa la nascita del figlio dalla morte della moglie in due mesi fantasmi; due mesi dai quali emerge la data finzionale del 28 maggio 1921, che sembra decretare tutt'insieme la fine dell’opera ideale, l’inizio della vedovanza e il tabù del lignaggio. Si tratta in qualche modo dell’atto ufficiale, ma di natura artistica e dunque più «vera» ai suoi occhi, del suo non riconoscimento di paternità. I lettori più sensibili rimarranno forse sconvolti di fronte a tale testimonianza di disamore paterno. Gli altri si limiteranno ad interrogarsi, alquanto perplessi, intorno alla presenza di una testimonianza di tal segno in mezzo ad un’opera a soggetto religioso. «Sarebbe forse empietà in Sant’Agostino (ad esempio) se (...)». Fra le opere frutto della mente e quelle generate dall’unione con l’altro sesso, Montaigne affermava senza imbarazzo alcuno la sua predilezione per quelle appartenenti alla prima categoria. Con il non rivelare la propria paternità per i motivi che ora conosciamo, Malipiero si era precluso contemporaneamente la possibilità di esprimersi anche lui apertamente sullo stesso tema e da sopraffino lettore di Montaigne qual era, doveva senz'altro invidiargli la disinvolta sincerità con la quale trattava l'argomento. Da parte sua, invece, avrebbe preferito morire piuttosto che indossare pubblicamente le vesti di capofamiglia e questo gli proibiva il ricorso ad un genere dizionale quale il saggio, dove l’autore si esprime allo scoperto. Non gli restava più che l’opzione finzionale, quella della mistificazione. Malipiero sembra averne tessuto le fila in seno al proprio corpus verbale in modo da poter almeno esprimere una forma di confessione indiretta. Comunque lo scrittore francese e il musicista italiano condividono lo stesso gusto del paradosso nello sforzo di tradurre esteticamente un credo che, aperto o soffocato che sia, si rivela ben poco ortodosso. La personalità addotta ad esempio da Montaigne nella sua dimostrazione è quella di un Santo e in Malipiero il rifiuto del figlio passa, obliquamente, attraverso la figura finzionalizzata di Francesco d’Assisi, col rischio di risolversi in modo sotterraneo nel rifiuto del Figlio. Questo aspetto misconosciuto del San Francesco d’Assisi è l’esatto opposto della luminosa spiritualità dell'opera, che non è sfuggita invece al pubblico contemporaneo dell’artista. Il «mistero» è stato eseguito in presenza di Papa Paolo VI durante un concerto ecumenico[19]. Malipiero inoltre era stato designato rappresentante dei musicisti per ricevere, quello stesso anno, il «Messaggio agli artisti» rilasciato dal pontefice a conclusione del Concilio Vaticano II. Il modo stesso in cui il musicista ha inteso sfruttare sulla scena pubblica quest'opera a lui carissima e dal successo critico quasi unanime lascia trasparire l’ambivalenza morale che nutriva nei suoi confronti. Il caso rimanda alla tematica sempre molto attuale del divario esistente fra i costumi oratori di alcuni artisti ed intellettuali e la realtà delle intenzioni che alimentano la loro pratica. Nel caso di Malipiero il contrasto è tale che la portata spirituale del San Francesco si trova in parte squalificata. Il ritratto dell'uomo ne esce offuscato ma l’artista saprà risollevarsene, allo stesso modo del filosofo Alain, di recente fatto fuori da Michel Onfray[20], e di tanti altri scrittori, musicisti, pittori e registi di fama il cui pensiero e i cui archivi a doppio fondo son diventati materia di cronaca. Possiamo rimaner certi che tali rivelazioni non faranno segnare il passo all'attuale rinverdimento della critica malipieriana. Sono anzi un invito a leggere o a leggere meglio gli scritti del Maestro veneziano -pubblicati ed inediti- ma soprattutto ad iniziare un ascolto rinnovato della sua musica. Informati dall'«apocalisse tardiva», si è ora in grado di capire fino a che punto alcune opere tradizionalmente considerate come le meno autobiografiche del suo catalogo musicale siano invero quelle che più lo sono: La Vita è sogno (1941) e Il Figliuol prodigo (1952) ne sono gli esempi migliori.
[13] Aurélia Carmesini, "Conversazione con Giorgio Ucropina", Trieste, settembre 2015.
[14]La stirpe veneziana dei Malipiero conta due dogi ed appartiene alla più antica aristocrazia della città.
[15] Laurent Loty, Préface, in S. Catellin, Sérendipité. Du conte au concept, Paris, Editions du Seuil, 2014, p. 7 («fait de découvrir par hasard ce que l'on ne cherchait pas»).
[16] Cfr. L. Loty, op. cit., p. 12.
[17] Le lettere di Maria Malipiero sono pochissime e tutte scritte tra giugno e luglio del 1920. Fanno parte della corrispondenza privata conservata al FGFM, FGC.
[18] Tali disposizioni possono sembrare esagerate, salvo nel caso del compositore veneziano. Le sue propensioni paranoiche, di cui ha dato non poche prove, sono diventate dopo la sua morte un luogo comune critico.
[19] Il concerto si è tenuto il 12 giugno 1965 presso l'Auditorium Pio di Roma. Il programma includeva altresì il Salmo CCXXIX per baritono e orchestra di Darius Milhaud e la Sinfonia di Salmi per coro e orchestra di Igor Stravinsky.
[20] Cfr Michel Onfray, Solstice d'hiver. Alain, les Juifs, Hitler et l'Occupation, Paris, Editions de l'observatoire, 2018.

II. "Fabrizio era completamente avulso, diciamo, dalla musica"[13].
Gian Francesco Malipiero, Capri, 1920
©Archivio privato dell'avente diritto del compositore

Valet dédaigné
Tarot de Jean Noblet, Parigi,1659 c., BNF.
Per condurre a termine questa piccola parte di un più vasto lavoro di ricerche, ho dovuto recarmi in non meno di quattro città: Firenze, Roma, Venezia e Trieste, dov'è vissuto Fabrizio Malipiero. L’autore è una «funzione dell'opera» che si va costruendo sia dentro che fuori dai testi, su di un terreno tutto materiale, come ben dimostra il fondo d'archivio malipieriano attraverso la sua duplice natura minerale e letteraria. La sua dimensione letteraria traspare nell'operazione di selezione e classificazione stessa del materiale, conservato in fascicoli, cartelle e registri ai quali, per molti di essi, il Maestro ha voluto affibbiare un titolo. Nell’unirsi così intimamente, carta e pietra, realtà e fantasia concorrono a formare a loro volta un altro tipo di testo, una finzione complementare o contraddittoria rispetto all'opera artistica. Un testo di siffatta natura può venir osservato ed analizzato soltanto a patto di concepire il lavoro d'inchiesta come un'esperienza tanto intellettuale quanto fisica, se non si vuol rischiare di farsi sfuggire alcune presenze impensate come quella del figlio nascosto. La mia esperienza dimostra la necessità di svincolarsi dal giogo paralizzante rappresentato dall’autoesegesi degli autori, insomma dalle leggende d'artisti, per andargli incontro fisicamente e potergli girare intorno come si fa con una statua. Ciò permette di catturarne un riflesso più vivo dell’immagine fossilizzata offertane abitualmente dalla critica, la quale il più delle volte tende ad optare per il ripiego nell’autoripetizione. «Dalle scuole elementari alle scuole dottorali, come d’altronde a scuola di vita, non esistono altre strade, per suscitare la serendipità, se non quella di raccontare come si cerca e come si trova[21]». Con il racconto di questa mia indagine spero di poter incoraggiare i giovani ricercatori, soprattutto quelli operanti in campo letterario, ad includere il più possibile nel loro lavoro questa dimensione fisica.
Descrizione delle immagini che compongono il mosaico illustrativo della rubrica.
Da sinistra a destra e dall'alto in basso, tralasciando le immagini i cui riferimenti sono già citati nell'articolo:
- Gian Francesco Malipiero, Capri, 1920, Archivio privato dell'avente diritto del compositore.
- Albero genealogico di Gian Francesco Malipiero, © 2020 Lampe Erratrice.
- L. Alamanni, Girone il Cortese, op.cit. Frontespizio.
- Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia.
- G. F. Malipiero, San Francesco d'Assisi. Mistero, London, Chester, 1921. Spartito per voci sole, coro e pianoforte.
- Casa di G.F. Malipiero, Asolo, © Lampe Erratrice 2020-2024.
[21] L. Loty, op. cit., p. 14 («De l'école primaire aux écoles doctorales, comme d'ailleurs à l'école de la vie, il n'y a pas d'autres voies, pour susciter la sérendipité, que de raconter comment on cherche et on trouve»).

