
Lampe Erratrice
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Questo sito è stato creato nel febbraio 2020. Viene progressivamente aumentato e in parte trasformato. La sua nuova versione verrà pubblicata prossimamente. Il lettore non deve stupirsi delle metamorfosi piccole e grandi che va registrando regolarmente. Per ora conviene considerarlo come un edificio in fase di costruzione. Presenta un articolo -La Favola del figlio nascosto di Gian Francesco Malipiero: segreti d’Archivio v/s “apocalisse tardiva”- contenente informazioni inedite sul piano della storia dell’arte. Costituiscono la parte “esplosiva” dei frutti di un lavoro di ricerca svoltosi in Francia nell'ambito di un Dottorato in Lingue e Letterature Straniere. Questo carattere esplosivo presenta vizi e virtù. Da una parte, infatti, esso mette crudemente a nudo l’ethos dubbio di un celebre compositore -il veneziano Gian Francesco Malipiero (1882-1973)- del quale la musicologia credeva di aver scandagliato, ormai, i lati più oscuri. Su di un versante opposto e meno accidentato invece, quello dell’estetica, dimostra che il grande musicista sapeva all’occorrenza maneggiare anche gli strumenti della scrittura. Per far solo un esempio, egli aveva non poca dimestichezza nell’esercizio letterario della mistificazione. Nessuno aveva ancora pensato di raccogliere i suoi scritti in modo da poter fare una lettura complessiva del suo corpus letterario e sottoporlo poi al vaglio dell’analisi. Così facendo, ho potuto meglio osservare alcuni particolari che avevano destato la mia attenzione fin da quando la mia visione dell’opera era ancora frammentaria e poco organica. Erano, questi, altrettanti «sintomi» che si andavano esibendo tacitamente sotto gli occhi del lettore, segnalandogli la presenza di una mistificazione d’autore. In questo caso specifico, una mistificazione che ricorre al procedimento dell'antidatazione. Portando avanti le mie ricerche al di fuori dei testi, ho fatto la scoperta perlomeno inattesa di un figlio nascosto del compositore; un figlio legittimo di cui egli ha sempre pubblicamente taciuto l'esistenza per i motivi che io evoco nell’articolo sopraccitato. Intendo innanzitutto con questo articolo condividere una mia esperienza di lettura e di interpretazione dei segni, attraverso ciò che si potrebbe definire un racconto d’inchiesta. A livello generale, la decodificazione costituisce il tema fondante di “Lampe erratrice”, un sito culturale rivolto principalmente ad un pubblico di non specialisti.

Gian Francesco Malipiero, Capri, 1920
© Archivio privato dell'avente diritto del compositore
Tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco. Gustav Mahler[1]
Introduzione
I vizi e le virtù relativi alla scoperta del figlio nascosto coinvolgono anche la sottoscritta. È proprio da questa miscela che il sito prende origine. Per quanto aberrante possa apparire dato il prestigio di questa istituzione privata, la Fondazione Giorgio Cini (San Giorgio,Venezia), che pur custodisce da quasi cinquant’anni il «Fondo Gian Francesco Malipiero», ignorava di avere in suo possesso lettere manoscritte di pugno del figlio nascosto fino al momento in cui ho rivelato la sua esistenza al Responsabile degli Archivi. Poiché la mia scoperta rivelava, di riflesso, anche gravi inadempienze nella gestione del «Fondo Gian Francesco Malipiero», hanno giudicato più prudente bloccare definitivamente il mio accesso all'Archivio. Questo è avvennuto proprio nel punto nevralgico del lavoro di stesura della tesi. Allo stesso modo, non ho ottenuto risposta alle mie richieste riguardo il permesso di riprodurre nella tesi i documenti consultati e trascritti durante tutte le mie precedenti visite. Da parte sua, l’Università francese dove ero iscritta non ha ritenuto opportuno intervenire nel tacito conflitto che mi opponeva alla fondazione veneziana, dando vita così ad un doppio caso di omertà: quello riguardante Fabrizio Malipiero, di cui la critica e il pubblico continuavano a non conoscere l'esistenza, complicato dal mio stesso caso di dottoranda-demistificatrice, che tutti hanno pensato bene ignorare altrettanto. Questo (non) posizionamento delle istituzioni nei miei confronti ha sortito come risultato il sabotaggio della fase conclusiva delle mie ricerche e della stesura della tesi, la cui discussione era prevista per il 2019. Dal momento che non è stata discussa, l’articolo che qui pubblico nella rubrica “Cercare” costituisce un modo di rendere ufficiale quello che da gran tempo dovrebbe esser noto. Tra le virtù evocate sopra, spicca quella di aver recuperato la possibilità di pensare e cercare senza ostacoli. La lettura attenta non si esplica solo sulle opere letterarie e neppure sui soli libri, così come la ricerca non si pratica solo all’Università. Il nostro quotidiano trabocca di segni attraverso tutte le sue manifestazioni culturali e la loro lettura deve essere il risultato, prima di tutto, di un tipo di indagine personale basata su una volontà di libera ricerca, estranea e lontana mille miglia dal nepotismo e dalle rivalità interdisciplinari, che altro non fanno se non soffocare dall’interno il mondo accademico.
La scelta di un argomento di ricerca risponde sempre ad un interrogativo anteriore, talvolta assai remoto, scaturito in un determinato momento della formazione mentale del dottorando. L’osservazione dei segni costituisce un interesse che risale alla mia infanzia, così come il gusto dell'«inchiesta». Questi si traducevano, tra l’altro, nella lettura appassionata dei romanzi polizieschi della serie Alice della collana francese "La Bibliothèque verte". Dei libri per ragazzi che componevano la mia libreria non mi lasciavo sfuggire nessun particolare. A forza di rileggerli ne conoscevo a memoria il contenuto, le illustrazioni e perfino l'odore così caratteristico. La libreria di mio padre, docente di Latino e Greco in Italia, era terrificante. Questo avveniva senz'altro a causa delle sue dimensioni oceaniche, ma forse anche perché mi faceva un po' senso sapere che mio padre andava a braccetto con lingue cosiddette morte. La presenza di questa sua libreria era talvolta inquietante perché dava l’impressione di poter ospitare degli zombi. Come faceva mio padre a rendere attivi tutti i suoi libri in modo che non si mutassero in morti viventi? Era davvero possibile? I libri acquistano un loro valore a patto di essere letti. Solo l'atto di lettura è in grado di giustificare la loro presenza. Una cosa che non viene letta è una cosa che esiste senza esistere, come i mostri. Accettare la presenza massiccia dei libri intorno a me non è andato da sé. Il mio consenso non è stato spontaneo, si è invece andato elaborando pazientemente, anno dopo anno. Questo spiega perché mi è stato difficile provare per i libri un rinnovato interesse, dopo gli ostacoli e i dinieghi affrontati durante la preparazione della mia tesi. Per riuscirvi, ho ripensato spesso ad un episodio della mia adolescenza che mi aveva vista sfidare non già mio padre quanto, invece, la sua tentacolare libreria. Prendendo un libro a caso, avevo inserito tra le sue pagine un bigliettino a mo’ di provocazione indirizzato al tifoso della Juventus: «Maldini è bbono!» (con le due b di rigore nella pronuncia laziale). Avevo poi riposto il libro sistemandolo in uno dei ripiani più alti, per rendere il tutto più complicato. Se il bigliettino fosse stato trovato dal proprietario della libreria, questo avrebbe costituito la prova che la libreria era attiva. Sarebbe pertanto apparso del tutto legittimo che tutti quei libri occupassero da soli lo spazio di un salone e di uno studio: avrebbero dimostrato di essere, a modo loro, vivi, proprio come gli abitanti della casa. L'attesa era cominciata. Senza saperlo, mio padre era diventato la cavia cruciale di quell'esperimento, colui in cui io riponevo, seppure scherzando, una speranza di assoluta serietà. Da parte mia non scommettevo su nessuna scadenza temporale, dato che il libro in questione non godeva delle migliori condizioni di visibilità. Doveva verificarsi la condizione, prima di tutto, che mio padre si mettesse a cercarlo. Poi era necessario che lo trovasse ed infine che lo leggesse. Io gli davo fiducia perché ero consapevole del suo particolare «rapporto dinamico» con la materia morta. Per esempio, si inventava spesso delle barzellette in latino. Purtuttavia, supponevo anche che la scommessa comportasse i suoi rischi. Non conoscevo neppure la natura del libro in questione. Si trattava forse di greco antico? O di filosofia? Secondo il mio punto di vista adolescenziale, quel libro apparteneva senz'alcun dubbio alla categoria del libro-palloso. Sono passati molti anni senza che abbia sentito mio padre riferire la scoperta del foglietto. Rimasi alquanto sorpresa quando lo sentii, un bel giorno, raccontare di essere scoppiato a ridere tempo prima trovando un bigliettino firmato da me in mezzo alla copia del Timeo di Platone. Vittoria!!! Ottenevo finalmente la conferma che ero andata cercando... vent'anni addietro! La notizia di quel rinvenimento mi era pervenuta durante la preparazione della tesi e l’avevo interpretata come un incoraggiamento a perseverare nel mio impegno.
Ormai mio padre si trova in pensione da un anno. Continua a coltivare regolarmente e in modo assiduo la lettura anche se, la vista annebbiandoglisi, preferisce sempre più spesso rivolgere i suoi interessi alle parole crociate. Memoria minuitur, nisi eam exerceas! Tempo fa mi ha telefonato per rendermi partecipe di un suo tripudio da cruciverbista: aveva appena riempito una casella trovando il nome Malipiero. «Ti rendi conto! Ma allora è famoso?!» Quel nome gli era del tutto ignoto prima che io cominciassi la tesi (la sua cultura musicale è sempre rimasta volutamente e accanitamente lacunosa). Ho pensato che quella presa di coscienza comica costituisse un po’ il mio debito nei suoi confronti. Sta a dimostrare che se i libri vanno letti, anche la musica dal canto suo va ascoltata.
Aurelia Carmesini (febbraio 2020), traduzione di Sergio Carmesini (maggio 2020).
[1] Motto della Fondazione Giorgio Cini di Venezia.
