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Lampe erratrice

i suoni

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Oh Dio buono, le carte favellano!

Pietro Aretino, Dialogo del giuoco (1543)[1]

Heaven and Hell (2009 Remaster) · Black Sabbath.jpg

Tarot de Jean Noblet, Paris, c.1659.
gallica.bnf.fr/Bibliothèque Nationale de France.

Per un sito dedicato alla lettura e all'interpretazione dei segni, volevo proporre un titolo che risultasse da un'operazione di deciframento. In questo caso l'operazione viene compiuta sui tarocchi di Marsiglia, un'opera d'arte straordinaria di cui si ignorano tuttora l'identità dell'autore, la data esatta e le condizioni di creazione. I tarocchi si contraddistinguono per la loro forma specifica, una e multipla, che li rende in grado di sfoggiare un'unità di senso coerente fondata su una rete di segni logicamente combinati fra loro. Fra questi ne troviamo alcuni di natura iconografica (ognuna delle carte comporta una rappresentazione grafica), altri di tipo discorsivo (qualcuna ha anche un titolo). Siamo di fronte ad un alfabeto unico nel suo genere che richiede in chi vuole avvicinarvisi l'incremento delle proprie doti percettive, giacché è giunto fino a noi privo di ogni verbale «istruzione d'uso». Da vero e proprio «linguaggio ottico[2]» quale si rivela, esige un'osservazione meticolosa se si vuol tentare di mettere a fuoco o meglio dedurre il codice e la prammatica di lettura che vi sono associati. Il suo impiego ludico e la sua pratica divinatoria sono largamente diffusi, ma l'indagine storica delle sue origini e del suo funzionamento resta ancora limitata. Tutto ciò lo rende uno dei linguaggi in uso fra i più enigmatici al mondo.

In realtà per carpirne il codice, indi il messaggio, ci vuole molto più di un'attenta osservazione. Sembra meglio indicata la contemplazione meditativa, poiché è nel tempo lungo della riflessione attiva che sorge, improvvisa, una pista. Una delle chiavi di volta del suo ciframento risiede nel suo bilinguismo: i tarocchi di Marsiglia parlano almeno due lingue, il francese e la «lingua degli uccelli». Con ciò si vuole indicare un modo di espressione fondato su un dato numero di procedimenti linguistici che permettono di sovrapporre al significato primo di una parola o frase un tutt'altro senso. Si tratta di un linguaggio crittografico basato essenzialmente sul principio della corrispondenza sonora tra le parole e su quello della loro vicinanza semantica e grafica. Fra i suoi espedienti prediletti: l'omofonia, l'anagramma, il palindromo, il rebus e i giochi di parole. Nel Medio Evo tale linguaggio veniva praticato tanto in occidente, dagli alchimisti e dai trovatori, quanto in oriente dai poeti mistici sufi. I tarocchi vi attingono a piene mani. Le Bateleur (I. Il Bagatto, primo dei cosiddetti arcani maggiori) cela in sé l'espressione omofonica «le bas te leurre» (la realtà mondana ti illude), mentre La Papesse (II. La Papessa), gioca sull'approssimazione fonetica «l'appât pèse» (l'esca pesa). Si sente «lampe erreur» (lampada errore) in L'Empereur (IIII. L'Imperatore), «temps errance» (tempo erranza) in Tempérance (XIIII. Temperanza). Questi sono alcuni esempi risaputi. Lampe erratrice (lampada erratrice) è il sintagma corrispondente al suono che percepisco nella denominazione Lemperatrise (III. L'Imperatrice), secondo l'ortografia specifica proposta dal più antico dei mazzi storici francesi a noi noto[3]Erratrice, femminile dell'aggettivo errateur, significa «che vaga, viaggia, va di qua e di là». Il termine deriva dal francese antico errer, «andare, viaggiare, procedere», il quale deriva a sua volta dal latino medievale iterare «viaggiare, camminare». Questa citazione tratta da uno dei romanzi più diffusi nella Francia del Rinascimento comporta un'occorrenza del termine che ben ne illustra il significato.

 

Non appena proferii tali parole, l'aria cominciò ad ottenebrarsi. Eolo, dominatore dei venti, immantinente del suo furor volle far uso ed il cielo si oscurò tanto improvviso da non potersi più distinguere un emisfero dall'altro, trovandosi scardinate le stelle e le sfere tutte, tanto quelle fisse quanto le erratrici[4].

 

Erratrici si presenta come il contrario di fisse ossia «conficcate, salde, immobili». Le stelle erratrici sarebbero in altre parole stelle cadenti, le sfere[5] qualificate con lo stesso aggettivo sarebbero quelle che ruotano su se stesse. Ritroviamo l'idea d'itineranza, di spostamento o, più largamente, di libertà di movimento. Si potrebbe pensare alla regina del gioco degli scacchi, capace di muoversi su tutte le case della scacchiera, diversamente dagli altri pezzi del gioco, drasticamente limitati dalle regole nei loro spostamenti. Il paragone calza a pennello all'archetipo dell'Imperatrice: benché seduta in trono, essa simboleggia tradizionalmente l'azione e la traboccante energia primordiale della primavera. Correlati a questa figura troviamo anche i concetti di paradosso, origine e originalità attraverso il simbolismo del numero tre. Sulla base del sintagma lampe erratrice, si ottengono precisioni sulla natura e il luogo della sua azione: una libido sciendi -simboleggiata dalla lampada- che si attua fuori dal coro, come viene suggerito dalle nozioni di viaggio e movimento insite nell'aggettivo erratrice. L'Imperatrice sembra dirigere la sua lampada in direzione del sapere situato ai margini, della conoscenza non dogmatica. Si è incoraggiati in questa interpretazione dalle connessioni interne che vigono fra lei ed altri due archetipi: L'Imperatore e la Temperanza. 

[1] Pietro Aretino, Dialogo nel quale si parla del giuoco con moralità piacevole, in Operette politiche e satiriche, tomo1, a cura di Giuseppe Crimi, Edizione Nazionale delle opere di Pietro Aretino, vol.VI, Roma, Salerno Editrice, 2013, p.167.

[2] Alexandro Jodorowsky; Marianne Costa, La Voie du Tarot, Paris, Albin Michel, 2004, p.34.

[3] Tarot de Jean Noblet, Paris, 1659. L'ortografia correntemente in uso all'epoca del cartaio Noblet era L'Impératrice, com'è rimasta in francese moderno.

[4] Hélisenne de Crenne, Les Angoisses douloureuses qui procèdent d'amour, édition: Jean-Philippe Beaulieu, Université de Saint-Etienne, 2018, p.169.

[5] Nel testo: i pianeti. Ho optato per la soluzione «sfere» in modo da conservare la forma femminile dell'aggettivo.

Note 1
Note 1 it.
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Tarot de Jean Noblet, Paris, c. 1659.
gallica.bnf.fr/Bibliothèque Nationale de France.

La prima funzione unificante è quella del campo lessicale derivante dal latino errare. Presente nell'etimologia del francese errer, lo è altresì nell'erreur (errore) dell'Empereur come anche nell'errance (erranza) della TempéranceErrer significa «andare di qua e di là» ma anche, in senso figurato, «sbagliare». Lo si confonde facilmente con il sopraccitato sinonimo errer tratto dal francese antico. In questo caso l'interconnessione tra Lemperatrise,  Lempereur e Lemperance sembra fondata sul principio della confusione etimologica. Il loro legame viene suggerito anche dal loro comportare rispettivamente la sonorità lampe. Se la L che si sostituisce alla T iniziale della Tempérance rappresenta in questo caso la squadra, attrezzo-simbolo del cartaio parigino Jean Noblet che intende così personalizzare la sua opera, si può pensare anche ad un espediente grafico volto a sottolineare in modo cifrato un legame fra queste tre carte. Si è portati a considerarle come una vera e propria triade, poiché formano una combinazione di senso coerente ed un'unità narrativa («lampada erratrice» - «lampada errore» - «lampada erranza»). Senza andare oltre nell'interpretazione, aggiungo soltanto che la somma delle carte (III+IIII+XIIII) si risolve nell'ultimo degli arcani maggiori, Le Monde (XXI. Il Mondo), che evoca la fine di un viaggio e l'apertura su un universo nuovo. Poiché l'erratrice è innanzitutto una viaggiatrice, abbiamo chiuso il cerchio.

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